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La Ricostituzione della Società

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Di Trevor Hauge. Originale pubblicato il 5 di agosto del 2024 con il titolo The Reconstitution of Society. Traduzione italiana di Enrico Sanna.

L’infame primo ministro britannico Margaret Thatcher adottò un’ideologia mista conservatrice e libertaria di destra che cercava di unire il pseudo individualismo al collettivismo tradizionalista del nucleo famigliare e dello stato nazione in maniera simile a quanto faceva la sua controparte americana Ronald Reagan. Prevedibilmente, questa chimera ideologica generò una visione del mondo incoerente che a parole poneva in primo piano la libertà dell’individuo, e di fatto aiutava i poteri aziendali a saccheggiare la classe lavoratrice distruggendo i sindacati e sostenendo monopoli capitalisti di ogni risma. Il risultato fu la distruzione della libertà individuale di molti lavoratori e la compromissione delle loro famiglie per generazioni. Con questo discorsetto imbrogliò milioni di persone convincendole a lasciarsi frugare le tasche dai poteri aziendali:

Penso che troppi, piccoli e adulti, siano stati abituati a pensare che “se ho un problema deve pensarci lo stato”, oppure: “siccome ho un problema, mi faccio dare un sussidio statale!” “Non ho una casa, lo stato deve darmene una!” E così via addebitando i propri problemi alla società; ma la società chi è? Non c’è nessuna società! Ci sono individui, uomini e donne, e ci sono famiglie, ma nessuno stato può far nulla se non tramite le persone e le persone pensano prima di tutto a se stesse.

Lo sfogo, per certi versi, sembra convincente, e questo spiega la popolarità. Ma il mio tiepido elogio della zia Maggie termina qui: tutti i demagoghi mettono un pizzico di verità nelle loro bugie. Anche altre personalità dispotiche, come Vladimir Lenin, facevano perno su certe verità evidenti: il capitalismo sfrutta, gli imperi schiavizzano, i lavoratori soffrono. Tutto vero. Non nego queste riflessioni solo perché le ha fatte Lenin. Ma non ne consegue che lo stato è la soluzione ai problemi causati dal capitalismo e dall’imperialismo, così come distruggere la società egalitaria non è la soluzione dei problemi causati dallo stato. Perché? Perché la società è l’antitesi dello stato, non la sua compagna.

La Thatcher e i suoi compagni di viaggio giustamente facevano notare che lo stato è uno strumento inadatto a migliorare la società. Questa è la ragione principale per cui gli anarchici sono sempre stati contro lo stato, e sono arrivati a questa conclusione molto prima che circolassero i vari cooptati aziendali come la Thatcher. Non è neanche giusto, come amavano notare reaganiani e thatcheriani, che lo stato obblighi un gruppo di individui a pagare per il benessere di un altro gruppo. Come già Herbert Spencer, non osano mai dubitare della giustezza dello stato quando impone misure che avvantaggiano i ricchi, rendendo così inevitabile il ricorso allo stato sociale. Se i ricchi non devono essere tassati per mantenere i poveri, perché i poveri dovrebbero essere tassati indirettamente con le rendite, gli interessi, e il furto di plusvalore per mantenere i ricchi? Questa tassazione indiretta a carico dei poveri è opera dell’apparato coercitivo statale che rende possibile la tassazione diretta. O la botte piena o la moglie ubriaca, cara Maggie!

La Thatcher diceva che lo stato è un peso per la società ma poi negava l’esistenza della società. Un pronunciamento interessante. Quasi ricorda Max Stirner, secondo me. Allora dobbiamo chiederci cos’è la società, e se esiste. È un altro degli spauracchi di Stirner, un’immagine mentale? Basta una rapida ricerca su Google per trovare: “gruppo di persone che vivono assieme in una comunità più o meno coordinata.” Non male come definizione, posso essere d’accordo visto che anche gli anarchici sono per la coordinazione purché ci si arrivi spontaneamente. Quanto a comunità, ancora Google ci viene in soccorso: comunità è “il senso di unione con altri, risultato del fatto che si condividono mentalità, interessi e obiettivi.” Unione significa solidarietà, e quando vi si arriva condividendo la stessa mentalità implica la libera associazione, principi che io condivido!

Non vedo che problema ci sia in una comunità, o in una società, coordinata. Definire qualcosa certo non ne certifica l’esistenza, ma su questo ci tornerò più tardi. Ma che relazione c’è tra società e stato e perché, come ho detto prima, la società è l’antitesi dello stato? Io credo che a proposito della società e dello stato abbia qualcosa da dire il mio favorito, il vecchio e irascibile Benjamin Tucker (al contrario della mia non favorita, la vecchia e scontrosa Margaret Thatcher).

La questione è: lo Stato è un organismo discreto? Gli anarchici dicono di no. Se il signor Read dice di sì, l’onere della prova spetta a lui. Io credo che il suo errore derivi dal fatto che confonda Stato e società. Che la società sia un organismo concreto gli anarchici non lo negano; al contrario, lo affermano con insistenza. La conseguenza è che non hanno né la voglia né il desiderio di eliminarla. Sanno che la sua esistenza è legata inseparabilmente alla vita degli individui: è impossibile distruggere l’una senza distruggere anche l’altra. Ma anche se non possiamo distruggere la società, possiamo intralciarne e impedirne l’operare, a danno degli individui che la compongono, e l’impedimento viene principalmente dallo Stato. A differenza della società, lo Stato è un organismo discreto. Se dovessimo distruggerlo, gli individui continuerebbero ad esistere. Continuerebbero a produrre, scambiare e associarsi come prima, solo molto più liberamente, e tutte quelle funzioni sociali da cui dipende l’individuo agirebbero più che mai a suo vantaggio. L’individuo non ha con lo Stato la stessa relazione che la zampa di una tigre ha con la tigre stessa; uccidi lo Stato e l’individuo vive ancora e soddisfa i suoi bisogni. Quanto alla società, anche potendo gli anarchici non l’ucciderebbero, e se anche volessero non potrebbero.

È chiaro che la zia Thatcher era terribilmente confusa, o confondeva ad arte, quando negava la società in nome dell’individualità e dell’indipendenza. La società è ciò che rende possibile l’autonomia dell’individuo grazie al libero contratto quando questi non è impedito.

La Thatcher, e quelli che la pensano come lei, non ha torto quando fa affermazioni come: “lo stato non può fare nulla se non per mezzo delle persone”. Questo è vero, ma viene opportunamente omesso il fatto che lo stato ha anche creato le condizioni che impediscono alla società di provvedere alla casa, ed è per questo che le masse disperate chiedono che sia lo stato a provvedere. Al più, i miopi attacchi contro lo stato sociale, ignorando i tanti privilegi dei ricchi, non fanno che riavviare il circolo vizioso che porta le masse a chiedere una politica sociale.

Compito dello stato è privare l’individuo di quell’indipendenza che altrimenti acquisirebbe tramite la società, e questo lo fa privando la società delle sue funzioni fondamentali per affidarle ad un’élite burocratica o altro. Repubblicani, democratici, marxisti-leninisti, fascisti, nazionalsocialisti, socialdemocratici, e anche libertari miniarchisti del Partito Libertario degli Stati Uniti possono tutti trasformarsi in quelle élite burocratiche che negano il libero agire della società. Una volta al potere dell’apparato chiamato stato, che ha la funzione di reprimere la libertà d’agire, nessuno di loro farà niente per correggere l’ingiustizia storica iniziata con le enclosure, e avviando il ciclo infinito: esproprio di terre e case, richiesta di uno stato sociale a compensazione, abrogazione dello stato sociale.

Chiedere che sia la società a fornire una casa non è sbagliato, purché a soddisfare il desiderio siano persone spinte da buona volontà che agiscono spontaneamente. Il problema, come nota Tucker, è che lo stato ostacola la società, in questo caso impedendole di dare una casa a chi non ce l’ha. Finché lo stato sostiene il monopolio della terra, impedisce alla società di offrire un alloggio. In una società giusta, dove la terra e le risorse naturali sono a disposizione di tutti, le persone agirebbero molto probabilmente seguendo l’istinto sociale, mettendo assieme senza costrizioni le proprie capacità per aiutarsi l’un l’altro a farsi la casa, come si faceva prima che fossero espropriati i beni comuni. Se non ci fosse stato questo esproprio, potremmo vedere persone che coltivano le terre disponibili. E per la casa non ci si rivolgerebbe allo stato.

Per chiarire, la restituzione dei beni espropriati non richiede alcun programma autoritario comunista, e neanche anarco-comunista, anche se quest’ultima opzione non è escludibile a priori in una società basata sul contratto libero. In un mercato liberato dai grandi monopoli capitalistici della terra, del denaro, delle tariffe e della proprietà intellettuale, le persone disporrebbero di molto più tempo e denaro oltre ad una riacquisita capacità di accedere liberamente alle risorse naturali. Non si vivrebbe aspettando lo stipendio perché nessun avido padrone avrebbe la possibilità di rubare una grossa fetta del reddito mensile grazie a quel privilegio garantito dallo stato che è la proprietà assenteista. Non si sarebbe neanche costretti a comprare un pezzo di terra libera da qualche speculatore assenteista perché la terra sarebbe liberamente a disposizione di tutti. Non ci si ritroverebbe a combattere con datori di lavoro che rubano il plusvalore creato con il lavoro perché il lavoratore sarebbe padrone di se stesso, come il socio lavoratore di una cooperativa. Nessuno si prenderebbe un cazziatone per aver firmato, spinto dalla disperazione, un prestito ad alto interesse con monopolisti come Chase e Huntington, perché il prestito lo si otterrebbe a prezzo di costo, senza profitti, col credito cooperativo. In questo contesto, la ricchezza sarebbe molto più diffusa!

In un mondo simile, perché la società non dovrebbe fornire un alloggio a chi ne ha bisogno? Io so che se avessi un reddito extra e la casa, andrei ad aiutare i vicini a farsi la casa su un pezzo di terra libera. L’aiuto reciproco è nell’interesse di ognuno per la semplice ragione che se aiuti gli altri, loro ti rendono l’aiuto. Questa può anche essere un’esperienza premiante, che dà un senso in un mondo che di senso ne ha sempre meno.

Allora, la società esiste davvero o è solo una fantasia? Purtroppo, non sono d’accordo con Tucker quando dice che la società non può essere distrutta. La società è una rete di comunità internamente coordinate, e le comunità rappresentano relazioni basate sulla solidarietà. Per quanto ne so, in questa civiltà moderna c’è ben poca solidarietà o coordinamento. Credo che la società sia stata distrutta e che il colpevole sia lo stato. La Thatcher dunque aveva ragione a dire che la società non esiste, se non altro perché lei e i suoi predecessori o discendenti (ovvero, la classe politica in generale) l’hanno distrutta. Intendiamoci, non è colpa di un certo stato in particolare: tutti gli stati sono responsabili, compreso quello della Thatcher.

Se non esiste una società, allora cosa esiste? Lo stato e il capitalismo. I quali formano un costrutto unico che possiamo definire stato-capitalistico. Questo sistema regna sovrano da quando Otto Von Bismark ci vide uno strumento per distruggere il movimento dei lavoratori tedeschi alternando il bastone alla carota.[1] Il sistema stato-capitalistico assume forme diverse; la più ingannevole è quella populista che denuncia una metà dei problemi offrendo l’altra metà come soluzione.

L’ideologia fusionista, da “governo limitato”, della Thatcher e di Reagan, accusando dei mali lo stato e indicando il capitalismo come soluzione ha posto le basi del libertarismo volgare. Quello che non dicevano è che il capitalismo non può esistere senza lo stato. E allora come può il capitalismo essere la risposta alternativa allo stato? La socialdemocrazia di Friedrich Ebert e il bolscevismo di Vladimir Lenin denunciavano il capitalismo e offrivano lo stato come soluzione, e in maniera speculare cadevano nello stesso errore, non tenevano conto del fatto che il capitalismo non può esistere se non è sostenuto dallo stato. Pertanto, come può lo stato essere risolvere i mali del capitalismo?

Forse gli unici governi che ammettono onestamente questa relazione stato-capitalismo sono quelli che dichiarano la realtà. Quelli che dicono sostanzialmente: “Noi almeno non siamo estremisti, potremmo essere molto peggio! Stato e capitale sono il meno peggio che si può avere.” I governi di centro si appuntano lo stato capitalistico sulla manica, ma ammettere che il sistema è il meno peggio non significa essere onesti, è un segno di disperazione e paura. D’altro canto le altre forme di governo, temute (giustamente) dai centristi, si nascondono dietro mezze verità. Cavalcano lo scontento popolare verso l’una o l’altra metà del potere, lo stato o il capitalismo, senza però fare alcunché riguardo entrambi, tanto meno riconoscere l’interdipendenza dei due. Possono dire di essere di sinistra o di destra, socialista o capitalista, credente nella libertà o nell’uguaglianza, ma le differenze sono superficiali. In qualunque forma si presenti, lo stato soffoca i lavoratori organizzati, espropria la terra, limita la libertà di scambio, sostiene le aziende, tassa i poveri e sostiene il rapporto gerarchico tra datore e lavoratore. Tutti gli stati sono pertanto nella pratica stato-capitalistici a prescindere dal colore o dalla capacità di mimetismo retorico.

Lo stato capitalistico porta inevitabilmente al soffocamento della società, a cui sottrae risorse materiali a favore di un’élite tramite tasse e rendite, nonché con il furto di plusvalore ad opera dei datori di lavoro, e infine con l’imposizione di un interesse da parte dei monopoli del credito che, tutelati dallo stato, sfruttano la disperazione di chi ha bisogno di un prestito. Sì, è vero, come diceva la Thatcher, che la gente pensa a se stessa, ma lo fa perché non ha la possibilità di rivolgersi agli altri, perché le risorse che potrebbero essere condivise sono state prese da una delle tante varietà dello stato capitalistico.

Non abbiamo una società perché non abbiamo comunità con la possibilità di coordinarsi internamente. La società non può offrire la casa perché non esiste. Per questo l’individuo disperato, così antipatico alla zia Maggie, si rivolge allo stato. Al posto della società abbiamo monadi isolate in un regime caotico imposto dalla macchina stato-capitalistica. Una società autentica è una comunità basata sul libero contratto che si coordina da sé; nella sua forma più perfetta, assicura libertà e uguaglianza a tutti i suoi componenti. Attualmente noi abbiamo uno stato al servizio del potere capitalista tramite pupazzi parlanti come la Thatcher e Reagan, e la loro reincarnazione ultima: Joe Biden e Donald Trump. Occorre ricostituire la società istituendo vere comunità basate sull’aiuto reciproco, il libero scambio e la solidarietà.

Note

[1] Secondo la rivista Smithsonian, Bismark definì il sistema “socialismo di stato” dicendo “Chiamatelo socialismo o quello che volete”, “per me è lo stesso”. I termini stato capitalistico e stato socialista indicano grossomodo la stessa cosa; a mio parere, i vari attori statali usano cinicamente l’uno o l’altro secondo la platea a cui si rivolgono. Se l’uditorio propende per lo stato capitalistico useranno questo termine, altrimenti parleranno di stato socialista. Durante la rivoluzione del 1917, Lenin coniò il termine capitalismo di stato dicendo che rappresentava un passo verso il socialismo:

Il capitalismo di stato, che è tra gli aspetti principali della Nuova Politica Economia (NEP), è, nel potere dei soviet, una forma di capitalismo deliberatamente autorizzata e limitata alla classe lavoratrice. Il nostro capitalismo di stato differisce dal capitalismo di stato in paesi governati dalla borghesia perché il nostro stato non è rappresentato dalla borghesia ma dai proletari, che sono riusciti a conquistare la fiducia piena dei contadini.

Purtroppo, l’istituzione del capitalismo di stato non procede con la celerità che noi vorremmo. Cito come esempio il fatto che finora non abbiamo avuto una sola concessione importante, e senza capitali esteri che aiutino la nostra economia a svilupparsi il rapido riscatto di quest’ultima è inconcepibile.

Io credo che il termine capitalismo di stato, o stato capitalistico, sia quello che meglio descrive i vari sistemi adottati da Bismark, Lenin, Mussolini, Roosevelt e diversi altri. Tutti questi sistemi non fanno che combinare stato e capitale in una forza unica al fine di tenere sotto controllo il movimento dei lavoratori. Questo non significa che tutte queste forme di governo sono uguali, ci sono forti differenze quando a libertà civili e centralizzazione del potere, ma il parallelo è innegabile. Lo stato capitalistico è da intendere come fenomeno vasto che comprende un’ampia varietà di arrangiamenti che combinano relazioni di lavoro paternalistiche e un certo grado di gestione statale dell’economia, tutte cose che servono a far sì che lo sfruttamento sia sostenibile.

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